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Rotary Club di Legnago – Conviviale 14 Ottobre 1975

Relazione di Danilo Zanardi

STORIA
DELL'INDUSTRIA
LEGNAGHESE

DALLA FINE DEL SECOLO SCORSO AI GIORNI NOSTRI

Legnago, sin dall’inizio del secolo scorso, possedeva una struttura industriale di notevole importanza e, in particolare, quella meccanica era da ritenersi, per quei tempi, una delle qualificate nella costruzione di macchine agricole e di meccanica varia.

Si può benissimo affermare che, in rapporto ai tempi (e in raffronto ad altre zone oggi notevolmente industrializzate) Legnago era da considerarsi più industriale a quei tempi che non ai nostri giorni perchè se, con le basi all’ora esistenti, si fosse realizzato uno sviluppo progressivo, Legnago dovrebbe essere oggi un centro industriale ben più importante di quanto non sia l’attuale.

Purtroppo, per varie ragioni (e per tante colpe della classe dirigente di allora), molte forze di lavoro sono dovute emigrare a prestare la propria opera qualificata alle industrie della Lombardia, Piemonte, Liguria e anche dell’Estero.

Solo una parte di quelle forze è rimasta in loco e, come vedremo più avanti le attuali industrie legnaghesi hanno tratto la loro origine proprio da quegli operai che, dopo il primo conflitto mondiale, senza capitali ma con sacrifici immensi e tanta fede e volontà, hanno cercato di rimettere in movimento quelle attività che la guerra aveva fatto cessare e che i proprietari avevano rinunciato a riattivare.

Ai primi di questo secolo dunque, Legnago si poteva orgogliosamente ritenere cittadina industriale; contava infatti una serie di industrie diversificate, che davano lavoro a varie categorie di maestranze, maschili e femminili, a lavoro continuativo e a lavoro stagionale; quest’ultimo compensava quella categoria di braccianti che trovavano così modo di sviluppare alle carenze di una agricoltura allora poco generosa.

In ordine cronologico all’inizio delle attività nel Comune di Legnago, troviamo per primo I’oleificio a S.Pietro di Legnago, fondato dalla Società “OLEIFICI VENETI RIUNITI”negli anni ottanta del secolo scorso; produzione: olio di ricino per uso medicinale e industriale. Nel 1912 o 13 lo stabilimento viene prelevato dal Cav. Giuseppe Gobetti e diviene “OLEIFICIO G. GOBETTI – S.p.a.”. La nuova gestione favorisce la coltivazione del ricino nella zona e cominciano così a modificarsi le strutture agricole, fino ad allora orientate esclusivamente su prodotti tradizionali: frumento, granoturco, patate, ecc.

La nuova ditta potenzia notevolrmente l’oleificio al punto da renderlo  il più importante d’Italia e, come tale, unico fornitore dell’esercito e dell’aviazione italiani . Nel 1923 (e per qualche anno) diventa anche fornitore del regime per le famose purghe di triste memoria e, strana coincidenza, con titolari dichiaratamente antifascisti.

Nel 1930 viene realizzato un moderno impianto di raffinazione e si riesce a produrre olio di ricino medicinale inodoro e privo di acidità. In seguito alla morte del Cav. Giuseppe, uno dei Titolari , e alla mancanza di incentivo del fratello Ludovico, entrambi senza figli , l’oleificio viene ceduto al Dott. Martini che, dopo un inizio poco felice, lo liquida definitivamente.

Dopo l’abbattimento delle mura di difesa della fortezza di Legnago cominciano a sorgere nel suo centro le prime attività industriali.

Siamo nel 1890 ed un Commerciante Legnaghese di ferramenta GIOVANNI FANTI, inizia la costruzione della prima industria meccanica in Legnago. Sorgeva nell’area dell ‘attuale isolato compreso tra Viale dei Caduti , Via Gazometro, Via Corta e Via Porta Ferrara . Esiste ancora una parte dei fabbricati originali su Via Corta (attualmente occupati dall’Officina Schenato e Lonardi ) che costituivano il reparto della Fonderia che fu successivamente di mio Padre e mio posto di lavoro fino al 1953.

Assunse la direzione tecnica un certo Sig. Amadei, nonno di un nostro contemporaneo concittadino. Le maestranze base vennero ingaggiate nella zona di Brescia, (allora la maggiore città industriale italiana) e una parte scelte fra il migliore e più qualificato artigianato della zona.

La Ditta iniziò il suo programma di lavoro con la costruzione di macchine a vapore e locomotive stradali atte ad azionare trebbiatrici per il grano e, inoltre, macchine a vapore fisse per vari tipi di industria.

Dobbiamo ricordare che, a quei tempi, non si aveva ancora a disposizione la forza motrice elettrica e nemmeno l’illuminazione e Legnago era illuminata, credo, ad olio o a gas.

La stessa officina doveva creare quindi la forza motrice necessaria per mezzo di una grossa macchina a vapore che, attravero trasmissione a cinghia, portava il moto rotatorio nei vari reparti per il funzionamento delle macchine utensili : torni, bielle, trapani, mole, ecc.

Un lontano ricordo: nell’anno 1920 o 1921 andai con mio Padre al cinema per un film che veniva presentato in un locale di fronte all’attuale “Nuovo Salus” dove Annibale Cecconi aveva, per primo, portato ai legnaghesi il cinematografo! L’energia elettrica veniva prodotta da un generatore di corrente azionato da una macchina a vapore. (Ricordo ancora il titolo del film: Messalina!).

La ditta Fanti costruiva, oltre a macchine a vapore, anche: trebbie pressa foraggi, sgranatoi e svariati altri attrezzi agricoli. Costruiva inoltre molini ad acqua, di quelli che un tempo si trovavano disseminati un po’ dovunque lungo le rive dell’Adige. Ovviamente una tale officina si era resa inoltre necessaria per la manutenzione dei macchinari degli altri complessi industriali che venivano via via sorgendo nel legnaghese.

Nell’arco di venticinque anni circa, fino al 1915, le Officine Fanti godettero di un buon prestigio industriale e arrivarono a tenere occupati circa 150 dipendenti, numero considerevole per quei tempi.

Lo scoppio della prima guerra mondiale e il conseguente quasi totale richiamo alle armi delle maestranze constrinsero la Ditta a cessare la propria attività.

Comunque essa lasciò delle buone radici avendo forgiato, in un quarto di secolo, una manodopera veramente specializzata e una mentalità industriale che avrebbe portato successivamente alla nascita delle attuali industrie locali.

Sempre alla fine del secolo scorso sorgono altre importanti attività che daranno un assetto pressochè completo all’economia legnaghese.

Il genovese Mariani dà vita all’attuale zuccherificio.

Concepito inizialmente come stabilimento per la lavorazione della canna da zucchero, subisce successivamente una radicale trasformazione da parte di tecnici Boemi che, con altri impianti lo adattano a stabilimento per la lavorazione delle barbabietole.

L’attuazione e l’attività del complesso permettono, oltre l’assunzione stabile di impiegati tecnici e amministrativi e di maestranze specializzate, anche l’assorbimento (durante la campagna bieticola) di un notevole numero di braccianti che trovano così il modo di integrare il magro salario percepito come lavoratori dei campi.

E si hanno anche vantaggi collaterali: l’affermarsi della nuova industria allarga notevolmente gli orizzonti agricoli con un nuovo tipo di coltura: quello della barbabietola che, affiancandosi a quella del ricino, aumenta la varietà dei prodotti agricoli e le conseguenti possibilità di sfruttamento della terra.

In seguito l’azienda viene dotata di un impianto per la baritazione che consente la lavorazione dei melassi e il conseguente prolungamento della campagna lavorativa per un discreto numero di operai.

Credo che l’impianto per la baritazione sia stato realizzato dagli Ingegneri Battistoni padre e figlio, rispettivamente zio e cugino del Prof. Luciano Battistoni.

Contemporaneamente alla realizzazione dello Zuccherificio sorge, dirimpettaia, la “Montecatini”. La fabbrica produce concimi chimici e solfato di rame. Il lavoro è a carattere continuativo e assorbe, oltre a tecnici e operai specializzati, un buon numero di maestranze generiche risolvendo, per quei tempi e quasi totalmente, la secolare piaga della disoccupazione.

Pure alla fine del secolo, per iniziativa di due benemeriti cittadini Legnaghesi: Bevilacqua e Valeri, sorge l’industria per la lavorazione della madreperla. La nuova attività impiega al 90% manodopera femminile e un centinaio di maestranze, mentre fornisce lavoro a domicilio ad altrettante, dotandole di attrezzature consistenti in piccoli tornietti per la foratura di bottoni. Vengono prodotti i più elaborati bottoni di madreperla per abiti maschili e femminili, bottoni per camicie, gemelli per polsini, bottoni doppi per colletti, accessori per borsette da donna, disegni vari per intarsi o su mobili e su tavoli per il gioco della dama, astucci e altri oggetti artistici. Naturalmente poteva contare su una clientela nazionale di prim’ordine.

Sottolineo, per inciso, il vantaggio non trascurabile che l’iniziativa apportava, anno dopo anno, al mondo femminile operaio di allora, riducendo molto sensibilmente l’esodo estivo di tante giovani donne verso le risaie del vercellese dove esercitavano il mestiere di mondine in luoghi malsani sotto tutti i rapporti, mentre le sottraeva all’umiliante reclutamento annuale che le avrebbe altrimenti costrette periodicamente lontane dalle loro case e disadattate ad un ambiente estraneo e dannosissimo dal punto di vista igenico.

L’avvento della plastica ed il suo impiego in tutti i campi viene sottovalutato dai Dirigenti dell’azienda che non intuiscono subito tutta l’importanza del nuovo ritrovato; al contrario di quanto avviene invece nel bergamasco, dove non si perde tempo e, nel giro di pochi anni, vengono radicalmente trasformati gli impianti per adattarli alla lavorazione della nuova materia; bottoni ed altri oggetti di plastica prendono il sopravvento sia per la loro economicità, sia per le possibilità offerte dal materiale di sbizzarrirsi nei colori e nelle forme.

L’Azienda legnaghese insiste sul prodotto tradizionale, perde il mercato e, nel 1954, viene definitivamente liquidata.

Nei primi anni del 900 Legnago manca di una grande occasione. E qui mi richiamo alle colpe dell ‘attuale classe dirigente.

L’Industriale laniero Rossi interessa il Comune di Legnago all’insediamento di uno stabilimento per la lavorazione delle lane e ne indica l’ubicazione nell’attuale parco centrale, allora ippodromo per le corse al trotto dotato di scuderie di proprietà dell’allevatore Barbetta. La scelta del posto non è casuale: si trova infatti proprio nell’angolo formato dal Canale Bussè ad est e dallo scalo merci ferroviario a sud. I grossi proprietari terrieri non vedono con favore questa nuova iniziativa, temono l’esodo della manodopera dalle campagne verso la promettente industria che garantirebbe lavoro continuativo a chissà quanti operai e temono l’inevitabile confronto economico e ambientale di lavoro fra l’agricoltura e l’industria. La proposta viene respinta e Rossi se ne và a Rocchette in provincia di Vicenza!

Sempre ai prirni del 900 sorge il chiodificio “Margonari”. I fabbricati esistono tutt’ora in Via Marconi, allo stato originale e formano la Sede delle “Fabbriche Riunite Ghiaccio e Gasose” di Frattini e De Stefani.

Si producono chiodi di tutti i tipi per falegnami, reticolati o ribattini o chiodi a testa sferica, per la chiodatura di caldaie, capriate, carpenteria per ponti, ecc.

È da ricordare che allora non esistevano saldatura elettrica e autogena; qualche saldatura veniva eseguita per bollitura, ossia: le parti interessate alla saldatura venivano portate sulla forgia alla temperatura di 1300/1400 gradi circa (cioè allo stato pastoso) e poi congiunte con colpi di martello e mazza.

Allo scoppio della 1a guerra mondiale l’azienda lavora quasi esclusivamente per il rifornimento di filo spinato all’esercito. Finita la guerra lo stabilimento è in crisi lo si vuol chiudere, si licenzia; gli operai lo occupano, lo gestiscono in proprio, consumano tutto il materiale a magazzino trasformandolo in chiodi; manca tuttavia il mercato, mancano i mezzi per andare avanti si chiude definitivamente.

Subentrano i fratelli Sartori che installano negli edifici la fabbrica del ghiaccio e delle gasose (quelle della bottiglia con la pallina di vetro); negli anni 1935/1936 la nuova azienda viene ceduta agli attuali titolari.

Sempre all’inizio del secolo sorge un’altra attività di prestigio: la “XiIografia Internazionale” il cui fabbricato originale esiste ancora, in Viale dei Tigli, presso quello dei Bagni Pubblici”. Nel suo genere si inseriva fra le più quotate Ditte italiane; vi si formavano caratteri e figure per stampa in legno di pero, delle dimensioni il cui realizzo in piombo non trovava più convenienza.

Era dotata di una gamma completa di matrici per vari alfabeti: occidentale, cirillico,arabo. Dopo la guerra cominciarono ad affermarsi le nuove tecnologie di stampa; la vecchia produzione entra in crisi e, piano piano, anche questa attività cessa e l’azienda viene liquidata.

Legnago avrebbe potuto avere, chissà, anche un cantiere areonautico! La storia è questa.

Verso il 1910 due ingegneri milanesi, i fratelli Ricci, trovano a Legnago nelle persone di Annibale Cecconi, Prof. Severi, Ing. De Stefani, i finanziatori per la realizzazione di uno dei prototipi di idrovolanti di loro progettazione. Il progetto è entusiasmante; si eleva subito un capannone nel luogo in cui oggi si trova la Caserma dei Vigili del Fuoco e si dà subito inizio alla costruzione; la fusoliera e le ali vengono realizzate con centino di legno speciale, lavorate meticolosamente e tenute fisse da centinaia di piccole squadrette e fazzoletti di lamiera imballinati. Le ali vengono rivestite di una speciale stoffa di seta e l’elica viene costruita da una ditta specializzata di Milano. Anche mio padre con Pilade Riello ed altri operai specializzati, finito l’orario di lavoro alle Officine Fanti, si recano in cantiere per qualche ora straordinaria, chi a fondere piccoli particolari di ottone, chi a tornire qualche pezzo, chi all’aggiustaggio. Comunque si doveva far presto! Dopo diciotto mesi l’apparecchio è pronto, viene montato un motore lineare “Isotta Fraschini” e finalmente arriva il giorno del collaudo. Per la prova era stato scelto l’Adige e la giornata era una Domenica di fine estate. Gli argini del fiume erano gremiti di gente accorsa da ogni parte della zona; l’attesa era frenetica: una macchina volante doveva alzarsi dall’acqua! Roba da fantascienza! In pratica il primo collaudo consisteva solo in un piccolo balzo che permettesse di stabilire se l’apparecchio poteva volare e se i comandi funzionavano. Uno dei progettisti salta a bordo, viene azionato il motore, la macchina comincia a muoversi… ma, purtroppo, con grande delusione di progettisti, finanziatori, collaboratori e folla, l’apparecchio anzichè decollare, cerca di inabissarsi!

Fu riportato in cantiere; i fratelli Ricci chiesero fondi per apportare modifiche, ma furono rifiutati. Dovettero rotolare nuovamente i loro disegni e andarsene. Trovarono tuttavia ospitalità presso i Cantieri Navali di Napoli. Due anni dopo da quel golfo si levò in aria, credo, il primo idrovolante di fabbricazione italiana. Da quel cantiere uscirono vent’ anni dopo quegli idrovolanti che compirono con Balbo la crociera atlantica del decennio; forse la loro paternità è da attribuirsi proprio a quel prototipo che, a Legnago, fu scherzosamente definito “il Sottomarino”!

Dopo tanti lutti e tanti sacrifici, finisce vittoriosamente la Prima Guerra Mondiale. I Reduci, le Famiglie, gli Italiani tutti sperano di ritrovare finalmente un po’ di pace e di serenità, ma sul Paese incombono la disoccupazione, la miseria, la fame. Tutti cercano il modo per sopravvivere ma, purtroppo, ogni attività è ferma mentre, per il resto, regna una gran confusione; naturalmente anche Legnago soffre di questo trauma.

Le prime a mettersi in movimento sono le industrie di Lombardia, Piemonte e Liguria, ed ecco che una parte dei nostri migliori operai specializzati viene invogliata ad emigrare in quelle regioni. Tuttavia una parte rimane e, caparbiamente, con ostinazione, cerca di iniziare qualche cosa . Viene tentato di tutto, istintivamente, un po’alla ventura. Tra il 1919 ed il 1922 questi tentativi cominciano a realizzare e a dar vita a nuove attività. Le attuali industrie legnaghesi rappresentano la continuazione ed il risultato di quegli sforzi.

Nel 1920, nell’Osteria “da Costante” fuori Porta Ferrara, si riunisce un gruppetto di operai: mio Padre, mio zio Emilio, Leone Cappellari, Passigato ed il disegnatore tecnico Gastone Busato; da quell’incontro nasce la Cooperativa Operai Metallurgici. Vengono ipotecate tutte le modeste proprietà di famiglia e se ne ricavano appena appena i fondi per mettere in piedi l’officina e la fonderia. Vengono costruiti due capannoni e una tettoia precisamente sull’area dove sorge l’attuale Caserma dei Carabinieri; vi lavorano in tutto una quindicina di persone, compresi i soci sopra menzionati. I primi Clienti sono: lo Zuccherificio, la Montecatini e la Fragd di Castelmassa; si riparano e si costruiscono macchinari, presse, filtri, diffusori, pulegge, ingranaggi, trasmissioni, tutto quello, insomma, che la modesta attrezzatura poteva consentire, ma vi posso assicurare che quelle primitive attrezzature e da quelle mani uscivano dei capolavori, veri miracoli.

Nel giro di qualche anno l’officina ha un nome, gli operai diventano una trentina. Un grosso cliente, I’Ing. Giorgio Pauer di Milano affida all’officina tutta la costruzione delle sue caldaie brevettate allora fortemente richieste anche per l’essicazione del tabacco. A questo punto l’azienda deve ampliarsi, necessitano fabbricati e nuove attrezzature; le modeste possibilità non permettono nuovi investimenti mentre sono ancora sospesi i debiti precedenti. Subentrano nuovi soci nelle persone del Dott. Romolo Sandrini, Avv. Esmenard, Rag. Morbioli, Trevisani. LAzienda si trasforma in Società per Azioni con la denominazione: “lndustrie Meccaniche Legnaghesi S.p.A”.

Nel 1928, su licenza tedesca, viene realizzata la pressaforaggi Welger, gli operai sono un centinaio, si lavora ormai a pieno ritmo. Ma nel 1930, per l’insorgere di contrasti, i rapporti con la casa tedesca vengono interrotti e cessa la produzione delle presse; rallentano anche le ordinazioni delle caldaie e subentra un periodo di crisi per l’azienda; comunque resiste ma si ridimensiona e arriva così alla seconda guerra mondiale, riuscendo a sopravvivere. Riprenderà brillantemente nel 1945; tutto è da rifare ma c’è lavoro per tutti, l’azienda va avanti fino al 1963 quando viene trasferita in Via Garbo in località Casette. A questo punto i maggiori azionisti decidono di cederla e subentra il Dott. Menini che trasforma la Ragione Sociale in “SIME” orientando definitivamente la produzione sulle caldaie per riscaldamento.

Sempre intorno al 1920 un altro gruppo di operai della vecchia Officina Fanti , capeggiati dal l’ex Direttore Sig. Amadei, realizza a Porto di Legnago un’officina per la costruzione di trebbie e sgranatoi che viene denominata “Officina Amadei & C”. Anche questa azienda, piano piano ma con molta perseveranza, riesce ad affermarsi. Alla morte del Sig. Amadei, rimangono due soli soci: Camillo Menini e Vittorio Nalin . Viene cambiata la Ragione Sociale in “M.A.N.S.A.L” Macchine Agricole Nalin Successori Amadei Legnago. Si cerca di imitare per assonanza il nome di un grosso concorrente inglese: “MARSHALL”.  In breve tempo l’azienda consegue un notevole sviluppo e, con la “Orsi”di Tortona, diventa una delle più importanti e qualificate costruttrici italiane di trebbie, presse e sgranatoi: assorbe circa 150 operai.

Ma i tempi camminano velocemente, le macchine agricole si perfezionano, diventano sempre più elaborate, cominciano ad arrivare dall’ estero macchine che fanno tutto da sole: la “ARBOS” di Piacenza e la “LAVERDA” di Breganze cominciano a costruire le mietitrebbie mentre la “MANSAL” non si aggiorna, non si trasforma, non progetta alcunchè di nuovo e viene superata; resiste ancora con una piccola produzione fino a qualche anno fa e viene in seguito liquidata.

È stato un vero peccato!

Nel 1922 un altro gruppo di operai si riunisce in società: la compongono i Sig.ri Marangoni, Baldo, Tregnaghi (il papà dell’avvocato Tregnaghi), Crestoni e Rizzi; sorge così in Via Gasometro, la “Officine Meccaniche Marangoni & C”.

Inizialmente ci si limita a riparazioni di macchine varie e di camion. In seguito ci si orienta sulla costruzione di impianti per zuccherifici credo non esista in Italia uno stabilimento che non sia dotato di un impianto costruito da questa Ditta. Il compianto nostro amico Ing. Lanata, che progettò tanti stabilimenti, affidava sempre alle Officine Marangoni notevoli ed importanti lavori.

Ora è rimasto uno solo dei Titolari, il Sig. Augusto Rizzi, che ha trasferito l’officina su di un’area che fiancheggia la “Montecatini” sulla Padana Inferiore.

Ancora (e siamo sempre negli anni venti) l’ Ing. Volpino di Milano fonda lo stabilimento dell’ “ANTICROMOS”.

Volpino è titolare di un brevetto per la fabbricazione del “carbone attivo” ricavato dalla carbonizzazione della segatura di legno a mezzo cottura in combinazione con zinco e acido cloridrico. Il prodotto serve alla decolorazione di: glucosio, olio di semi, vino, ecc… e lascia inalterate tutte le altre caratteristiche delle materie trattate. Le cantine ne fanno il maggior uso.

La direzione del nuovo impianto viene affidata all’Ing. Antonio Tagliavini che vi attende con molta competenza e grande passione. La lavorazione ha carattere continuativo e si avvale dell’opera di un centinaio di persone.

Tuttavia il fattore ecologico suscita perplessità e problemi fra gli agricoltori della zona che si vedono inquinare le acque dello Scolo RO dai residuati dello stabilimento che vi vengono convogliati.

In seguito viene ovviato all’inconveniente mediante la costruzione di apposite vasche di decantazione.

Dopo la guerra, l’Antocromos viene prelevato da un gruppo americano che è già proprietario della “FRAGD” di Castelmassa.

Attualmente credo appartenga ad una società francese.

In quello stesso periodo sorge a Porto di Legnago un’altra piccola, modesta officina; la gestiscono il sig. Ettore Riello ed i figli Pilade e Giuseppe. Si riparano motociclette e si eseguono piccoli lavori di torneria. Il gruppo famigliare è dotato di una notevole carica di entusiasmo alimentato da una tenace volontà e da indubbie capacità tecniche.

Tuttavia, agli inizi, la piccola officina passa quasi inosservata e campa un po’ ai margini delle altre attività locali; ma nelle intenzioni e nello spirito dei titolari non ci si accontenta di riparazioni: si vuole creare qualcosa, lanciare un prodotto che si imponga sul mercato.

Si incomincia con la costruzione di una serie di macchine per la macinazione delle carni e per la confezione degli insaccati; ma ciò non è ancora la realizzazione di quella idea fissa, di quel progetto che è nella mente dei tre: creare una macchina per bruciare l’olio combustibile fino ad allora inutilizzato e buttato via dalle raffinerie.

Ed ecco, dopo prove, riprove ed esperimenti, la realizzazione di un bruciatore per forni da pane. Ma non esiste ancora una clientela dotata di spirito di rinnovamento e accessibile a novità del genere; si continua pertanto con una attività mista nel piccolo guscio originale.

1934 Guerra d’Africa e conseguenti “sanzioni”. L’Italia manca di carbone, di petrolio ed entra in regime di autarchia. Si bruciano necessariamente ligniti nazionali, della Sardegna e dell’Istria.

Ed ecco che, con genialità e tempestività, i Riello trovano la soluzione. Progettano e realizzano quel bruciatore che, denominato appunto “l’autarchico” viene predisposto nelle caldaie e alimentato dal modesto olio combustibile. È il primo vero successo e il primo vero lancio sul mercato.

Viene immediatamente costruito il primo capannone dell’attuale complesso e si istituisce la prima scuola professionale per giovani apprendisti. La “RIELLO” comincia ad avere un nome. Inizia anche la costruzione di macchine utensili ma subisce una stasi durante il periodo bellico in cui viene requisita dai tedeschi.

Non è il caso di illustrare qui lo sviluppo e l’importanza assunti da questa industria nell’immediato dopoguerra e negli anni successivi: è storia dei nostri giorni ed è a tutti nota.

A questo punto (e badando sempre all’ordine cronologico) devo parlare anche della mia famiglia, devo sopratutto dire qualche cosa su mio Padre; facendolo, rendo un doveroso e commosso omaggio alla Sua memoria, alla memoria di un uomo che fu tra i protagonisti della nascita alla vita industriale legnaghese.

Nel 1931 Egli, non avendo trovato nelle “Industrie Meccaniche Legnaghesi” (di cui faceva parte come socio di minoranza e dove prestava anche la sua intelligente operosità) le condizioni ideali di lavoro, decise di mettersi in proprio e si fece liquidare.

Trovò aiuto nei Soci delle Officine Marangoni & C. che contribuirono sostanzialmente all’avviamento assicurandogli la continuità del lavoro.

Affittò un capannone di proprietà del Prof. Severi e, ricevutene le chiavi, mi condusse con sè a prenderne possesso. E qui mi ricordo che, aperto il portone, ci trovammo improvvisamente di fronte, con nostro immenso stupore, alla sagoma ancora quasi intatta di quell’idrovolante che nel 1912 aveva deluso tanta gente e di cui tanto spesso avevo sentito parlare come di una cosa leggendaria. Credo esista ancora, fra i nostri modelli, qualche pezzo di quell’apparecchio subito demolito per sgomberare il capannone ed il cui materiale è stato poi utilizzato per la costruzione di attrezzature, staffe, modelli ed altri accessori di immediata necessità.

Dopo un arduo avviarnento di qualche anno, mio Padre riuscì ad acquistare il fabbricato di Via Corta, ex “Fonderia Fanti”; il possesso di quella fonderia, che nel lontano 1898 l’aveva visto apprendista di appena 12 anni, è stato per lui la realizzazione di un sogno!

Nel 1953 viene costruita la fonderia di Via Giuseppe Verdi, oggi demolita per far posto ad un condominio ora in costruzione. Seguì nel 1963 il trasferimento a Minerbe nella Sede attuale.

L’affermazione delle altre industrie sorte nel periodo post bellico: Isothermo, Zambelli, Risificio, Petternella, è storia recente che tutti conosciamo.

E concludo. . . con la speranza di non avervi troppo annoiato!

La mia non ha voluto essere una cronaca precisa e meticolosa dell’industria legnaghese ma, come si dice con termine moderno, soltanto una carrellata durante la quale, tuttavia, ho anche cercato di dare ai pionieri agli iniziatori di questa industria così come doverosamente celebriamo e ricordiamo gli uomini che ci hanno portato alla libertà ed alla democrazia, ho creduto giusto e umano rivolgere un riconosciente pensiero anche a coloro che tanto umilmente hanno operato per il conseguimento di un benessere che ci aiuta a conservare e perfezionare in serenità quei valori che sono alla base della società odierna.

Grazie per la  pazienza e per la cortese attenzione.

DANILO ZANARDI

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